Orari dei negozi: soluzione nazionale che consideri tutti gli elementi in discussione

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Posizione di Federdistribuzione

Siamo da sempre favorevoli alle aperture domenicali e festive perché riteniamo siano un vero servizio per i cittadini, che ne avrebbero un danno se si dovesse tornare indietro dopo oltre 6 anni di liberalizzazione (19,5 milioni di persone acquistano la domenica, 12 milioni nella sola Distribuzione Moderna Organizzata).

Inoltre, introducendo delle limitazioni,

  • si favorirebbe il commercio on line, una vetrina sempre aperta e che già gode di meno vincoli su promozioni e sottocosto,
  • si indebolirebbe la dinamica dei consumi,
  • si avrebbero impatti sui livelli occupazionali,
  • si frenerebbero gli investimenti delle imprese.

Auspichiamo che si possa instaurare un sereno confronto per arrivare ad una soluzione nazionale nella quale siano considerati tutti gli elementi in discussione.

Le motivazioni

A fine 2011 è entrata in vigore la piena liberalizzazione degli orari di apertura dei negozi (DL 201/11 “Salva Italia”). Una legge nazionale, basata sul principio che il tema degli orari fosse attinente alla tutela e promozione della concorrenza e che stabilisce la libertà dell’imprenditore di gestire al meglio la propria rete commerciale, nel rispetto delle leggi e dei contratti, come già accade nell’industria, dove 330.000 persone lavorano la domenica. Del resto sono oltre 3,4 milioni i dipendenti che lavorano la domenica in Italia (il 20% del totale dipendenti), dei quali circa 2,2 milioni nei servizi “non essenziali” [1].

Questo provvedimento è stato emanato in un momento nel quale il Paese stava attraversando la sua peggior crisi del dopoguerra. In questo quadro ci sono stati due effetti:

  1. un maggior numero di giorni e ore lavorate. Con 24,5 milioni di ore lavorate in più, sono stati erogati ogni anno oltre 400 milioni di maggiori stipendi, equivalenti a 16.000 posti di lavoro [2];
  2. un sostegno ai consumi, che sarebbero crollati maggiormente rispetto a quanto si è verificato. Le nostre stime definiscono un supporto alla dinamica dei consumi pari al +2% per i beni non alimentari e al +1% per quelli alimentari [3].

A distanza di oltre 6 anni dal “Salva Italia” si deve registrare che:

  • 19,5 milioni di persone compra la domenica (il 75% di chi è responsabile degli acquisti in famiglia) e per il 58% dei cittadini (15 milioni) l’acquisto domenicale è diventata un’abitudine consolidata [4]. Nella Distribuzione Moderna Organizzata (DMO) sono 12 milioni i consumatori che comprano ogni domenica [5];
  • laddove i punti vendita rimangono aperti 7 giorni, la domenica è il secondo giorno per fatturato, rappresentando quasi il 15% del fatturato settimanale [6];
  • non si è verificata una liberalizzazione selvaggia. La domenica e nei giorni festivi restano aperti solo i punti vendita per i quali l’imprenditore è convinto di fornire un servizio ai consumatori mantenendo un corretto equilibrio sul conto economico;
  • non si è verificato un crollo degli esercizi commerciali. Secondo l’Osservatorio del Commercio del Ministero dello Sviluppo Economico tra il 2012 (anno di entrata in vigore della liberalizzazione) e il 2017 il numero dei punti vendita, pur con la crisi, è sceso solo dell’1,4%;
  • le aperture domenicali e festive appaiono coerenti con il mutare degli stili di vita e di acquisto delle famiglie, che chiedono più opportunità e alternative per impegnare il proprio tempo libero, potendo scegliere, anche nell’intero week end, se andare al cinema, a teatro, in un museo, al ristorante o a fare acquisti nei negozi aperti;
  • la crescita dell’e-commerce, prevalentemente avvenuta grazie ai puri operatori on line, ha ulteriormente introdotto complessità nelle attività del commercio fisico, che vede il proprio perimetro rimpicciolirsi sia per la crisi, che ha sottratto vendite, che per l’azione dei marketplace digitali. Un settore, quello dell’e-commerce, che gode di un vantaggio “scorretto”, non essendo sottoposto ai vincoli commerciali (promozioni e sottocosto) che invece condizionano l’operatività dei negozi.

Tornare indietro rispetto alla situazione attuale implicherebbe:

  • un peggioramento del servizio offerto alla popolazione italiana, il cui gradimento è testimoniato dai 19,5 milioni di persone che acquistano la domenica (12 milioni nella sola DMO) e che lo vivrebbero come un danno;
  • un indubbio vantaggio all’e-commerce, che potrebbe accelerare la propria crescita aggravando così la situazione per il commercio, che investe sui territori creando occupazione, sviluppo locale e presidio sociale;
  • una diminuzione delle vendite in un momento molto complesso per il commercio, con conseguente frenata degli investimenti e riduzione dell’impatto positivo che la DMO ha sui territori grazie all’indotto generato, in termini di sviluppo e occupazione;
  • un calo dei consumi, un fattore che peraltro non ha ancora consolidato un robusto percorso di sviluppo, se consideriamo che le vendite al dettaglio misurate dall’Istat per i primi 5 mesi del 2018 sono in calo del -0,2%;
  • inevitabili impatti sull’occupazione. Il minor numero di giorni di apertura e di ore lavorate nei punti vendita (e quindi le minori vendite) si aggiungerebbe alle tensioni sull’occupazione generate dalla crescita dell’e-commerce. Riportare la situazione normativa al pre “Salva Italia” genererà minori salari distribuiti e una perdita occupazionale almeno pari ai benefici generati dal 2012 (tra nuova occupazione e posti di lavoro tutelati), senza considerare l’indotto. Ciò anche, come da taluni ipotizzato, nel caso che le vendite tornassero a spalmarsi su sei giorni anziché sette, a causa della diminuzione del servizio ai clienti.

Riteniamo fondamentale avviare un serio confronto tra i soggetti coinvolti sul tema degli orari per arrivare ad una soluzione nazionale nella quale siano considerati tutti gli elementi in discussione.

[1] Elaborazioni Ufficio Studi CGIA su dati Istat
[2] Elaborazioni Federdistribuzione su dati aziendali
[3] Elaborazioni Federdistribuzione su dati aziendali
[4] Indagine GFK “La liberalizzazione degli orari di apertura” – Giugno 2018
[5] Elaborazioni Federdistribuzione su dati aziendali
[6] Elaborazioni Federdistribuzione su dati aziendali

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